venerdì 16 dicembre 2011

VIVERE UN "CLASICO" (parte seconda...)


Entriamo al Bernabeu.
Non ci sono tornelli, solo delle miniporte stile passaggio di metropolitana: si poggia il biglietto, il lettore riconosce il codice a barre e sblocca il meccanismo, infine lo steward dietro ogni entrata ti fa passare. Poi c’è il controllo di rito per quanto riguarda borse, buste e similari da parte di altri steward, qualche metro più avanti, e alla fine puoi salire nel posto a te assegnato dal biglietto che hai in mano, nel nostro caso il quarto anello del Fundo Norte (chiamiamola Curva Nord).
Tempo stimato per compiere tutte queste operazioni? Cinque minuti, arrotondati per eccesso.
Senza voler confondere lo sterco con la nutella, più o meno dello stesso colore, lo scrivente riflette amaramente su una cosa: essendo solito andare alle partite casalinghe del Cagliari prevede che quando, tra una settimana, si giocherà contro il Milan, dovrà sorbirsi i canonici 20-30 minuti di file, controlli e tornelli per entrare in uno stadio che a malapena conterrà ventimila persone.
Ma ora è felice perchè ci ha messo appena cinque minuti per entrare in un impianto che invece ne contiene 90.000 e oltre, e siccome comincia ad essere un pò stanco decide di arrivare al suo posto, situato molto in alto, direttamente con alcune rampe di scale mobili.
Altra organizzazione, ma tant’è...

Una volta dentro, il colpo d’occhio è quello delle grandi arene: bella vista con stadio vuoto, con i suoi sedili azzurri e gli spalti spioventi, ma ancor più bello da pieno, ove per questa partita la società del Madrid ha messo in ogni sedile una bandierina bianca con lo stemma della squadra. In tutto ci saranno 90.000 bandierine pronte a sventolare all’ingresso delle squadre in campo.
Un signore alla mia sinistra, madridista dall’era che fu, sentendo il mio castigliano non propriamente di madre lingua mi domanda, con sguardo vagamente minaccioso, se io sia un tifoso “blaugrana” in avanscoperta. Ottenute adeguate rassicurazioni su quali possano essere le preferenze del sottoscritto, cambia tono e diventa complice, suggellando il nuovo status porgendomi una lunga e succulenta liquirizia da addentare prima del fischio d’inizio.

Poi arriva il momento. Da queste parti non aspettavano altro. Abituati a vincere e dominare, i madridisti e i madrileni non sopportano di dover fare ormai da tre anni la cenerentola ai rivali di Catalogna e ciò si legge nelle loro facce, come pure si avvertiva in città ormai da una settimana. Le squadre stanno entrando in campo e nel frattempo la vita pare essersi fermata a Madrid. Tutt’intorno le strade sono vuote, e chi non è dentro e nelle adiacenze del Bernabeu, è a casa o in qualche locale. Tutti o quasi incollati davanti alla tv per la partita dell’anno.

Poi, come l’incipit di un grande spettacolo, si ode Pavarotti rivivere nelle casse dello stadio mentre intona con pathos il “Nessun dorma” e tutti stanno in silenzio ad ascoltare, con gli occhi fissi su quei ventidue ragazzi in maglietta e pantaloncini che stanno per dar vita alla grande sfida. Mentre Pavarotti canta, nella “Sur parte la coreografia che con i cartelloni colorati dovrebbe ricreare lo stemma madridista. L’esperimento riesce solo in parte: forse qualcuno del pubblico era in possesso del cartoncino di colore sbagliato, così l’effetto non è proprio dei più precisi e riusciti. Cose che possono capitare.
Tutto il resto degli spalti è un costante sbandierare bianco (con le bandierine di cui sopra) che fa da cornice all’assordante boato che si diffonde quando i giocatori si avviano di corsa verso il centrocampo, mentre l’inno madridista “Hala Madrid” si sostituisce all’indimenticato e corpulento tenore italiano dalla voce diamantata.
Il pubblico è scatenato e cerca sin dal fischio d’inizio di spingere i propri beniamini a una vittoria che contro gli invincibili di Guardiola manca ormai da troppo tempo. Tutto questo trambusto deve aver distratto il portiere Victor Valdes che dopo pochi secondi regala un pallone a Di Maria, dal quale parte la rocambolesca azione che porta al vantaggio lampo di Benzema.

Quando il francese ha la palla d’oro e la scaraventa nella rete sono passati appena 22 secondi e molti sugli spalti non si sono ancora seduti. Il gol pressochè inaspettato fa deflagrare il Bernabeu in un boato assordante che ne smuove le fondamenta fin dai parcheggi sotterranei.
Poi comincia la partita. Dopo aver accusato un pò il colpo, e rischiato il tracollo (gracias, Cristiano!) Messi e compagni prendono possesso del campo, minuto dopo minuto, metro dopo metro. Il Real non è domo e si fa pungente come una zanzara che ha fiutato una colonia di bambini grassocci a un piscina party. Ma la “pulga” se ne inventa una delle sue e lancia a rete Alexis (che a Cagliari ricordano bene...) il quale vola in porta e fa in modo che la sua palla non venga raggiunta da Casillas. E’ l’uno a uno. Il Bernabeu smette di deflagrare. Ora c’è solo qualche lapillo sparso.

Poi giunge la ripresa, e il pressing asfissiante del primo tempo da parte dei madridisti scema un pò, come era ovvio che fosse. Iniesta sale in cattedra e i ragazzi di Guardiola ricominciano con il loro ossessivo possesso palla, stavolta avendo meno opposizione. Ma per scardinare la partita serve un colpo di fortuna, come quando una conclusione di Xavi viene deviata da Marcelo e la palla va dove Casillas non riesce ad arrivare. Silenzio.
E’ fatta ormai, per il Barcelona si preannuncia un’altra vittoria, e la partita viene messa in cassaforte in un contropiede fulminante, geniale: parte Iniesta, serve Messi, avanza e scarica a destra per Alves, cross col contagiri e testa di Fabregas ad anticipare Coentrao, per segnare nella stessa porta dove Pablito, Tardelli e Altobelli affossarono la Germania nella finale del 1982.

Per il mai domo Real Madrid è finita, e lo capisce anche il tifoso al mio fianco, quello della liquirizia, il quale mi guarda senza più la baldanza dei primi minuti, e ammette l’elevata estetica del gioco catalano, pur consolandosi coi 70 gol di inizio stagione e il primato in classifica delle merengues. Poi, quando Iniesta viene sostituito si alza in piedi ad applaudirlo come tutto lo stadio, memore di chi con uno storico gol aveva regalato alle “furie rosse” la prima agognata coppa del mondo poco più di un anno prima. Almeno lui mette tutti d’accordo.
Poi la partita regala gli ultimi vagiti ma il 3-1 non cambia più, proprio come la finale ’82, e stavolta non ci sono risse, sberleffi, nè dita negli occhi o spintoni. Applausi per tutti.
Lo spettacolo è finito, sia sugli spalti che sul rettangolo di gioco, e sia chi è madridista sia chi è blaugrana va via soddisfatto (magari un pò di più questi ultimi).
Ma il risultato ormai conta ormai fino a un certo punto. Il Calcio è passato di qui. E beato chi c’era.

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