sabato 17 maggio 2014

Partite mondiali: 1954 - DOPO 4 ANNI CADE LA GRANDE UNGHERIA


Coppa del Mondo 1954
Berna, 4 luglio 1954, Germania Ovest-Ungheria 3-2

Era una squadra formidabile, l'Ungheria di quegli anni. La chiamavano aranycsapat, squadra d'oro. E d'oro erano i suoi campioni, come il colore della medaglia olimpica vinta due anni prima.
Una squadra capace di restare imbattuta per quattro anni, fino a quella finale di Berna, e di battere per la prima volta (1953) a Wembley gli "inventori" del calcio rifilando sei reti (a tre) agli inglesi in casa loro. Un nome su tutti: Ferenc Puskas, stella della Honved di Budapest e poi rifugiatosi in Spagna dopo la rivoluzione ungherese per far grande il Real Madrid. 
Ma l'Ungheria non era solo Puskas: Kocsis, Czibor, Hidegkuti, Bozsik, Toth erano solo alcuni dei giocatori che contribuirono a fare di quella squadra un rullo compressore, come lo era stato il Grande Torino alcuni anni prima.
Dopo la coppa Internazionale e le Olimpiadi, non restava che il mondiale per suggellare la schiacciante superiorità calcistica magiara a livello mondiale.
Ma il bello del calcio è anche quello: non sempre il più forte vince, e così quattro anni dopo il clamoroso exploit dell'Uruguay in casa del poderoso Brasile, la storia si ripete.
Anche in quella finale, giocata a Berna davanti a 60.000 spettatori, forse gli ungheresi arrivarono troppo sicuri di vincere, forti delle 25 reti segnate nelle quattro partite giocate fin lì nel mondiale svizzero (9-0 alla Corea del Sud, 8-3 alla Germania imbottita di riserve, 4-2 al Brasile, 4-2 all'Uruguay campione).
I tedeschi avevano in Fritz Walter l'elemento di spicco, ma non avevano la tecnica magiara, anche se non lesinavano in resistenza e forza fisica. Il mister Herberger fu anche molto furbo quando, nel girone eliminatorio, affrontò proprio l'Ungheria imbottito di riserve. Ciò costò ai tedeschi 8 reti sul groppone ma così diede agli avversari l'impressione di essere un boccone da sbranare facilmente. 

Il vantaggio ungherese di Puskas
Infatti nel turno conclusivo del mondiale, la storia fu ben diversa. La Germania andò avanti nel torneo eliminando Turchia, Jugoslavia e Austria, e si presentarono in gran spolvero alla finale, al contrario dei magiari, un pò affaticati e con Puskas acciaccato.
Gli inizi dell'incontro furono come tutti si aspettavano: dopo otto minuti l'Ungheria era già in vantaggio di due reti, grazie alle segnature di Puskas e Czibor. Sembrava il sigillo alla definitiva consacrazione dell'aranycsapat, ma i tedeschi non si persero d'animo e la reazione fu immediata: prima Morlock e poi Rahn ristabilirono la gara in parità.
In pratica le due squadre dopo 18 minuti di gioco avevano già regalato quattro reti ai sessantamila di Berna. Non male.

Morlock comincia la rimonta: 1-2
Il proseguo della gara fu più equilibrato, con Puskas e compagni che, nonostante cominciassero a sentire la fatica, portarono numerosi pericoli verso la porta di Turek. Fritz Walter e compagni invece resistevano stoici agli attacchi avversari, correndo come assatanati e il più delle volte raddoppiando le marcature per rendere inoffensivi i formidabili attaccanti ungheresi. "Sembravano" dopati, i tedeschi, da quanto correvano.
Poi arrivò il minuto 84, quello del "Miracolo di Berna". Rahn raccolse una corta respinta della difesa, stoppò la palla col destro e se la portò sull'altro piede per evitare il ritorno di un difensore. Il controllo sembrava essere difettoso ma il giocatore si allungò e col sinistro, in scivolata, riuscì a concludere imparabilmente verso la porta di Grosics mandando il pallone nell'angolino basso alla destra del portiere magiaro, inutilmente proteso.

Il gol del 3-2 segnato da Rahn
Era il gol dell'incredibile vittoria tedesca sugli invincibili, e rappresentò il riscatto di un'intera nazione che era uscita con le ossa rotte dalla seconda guerra mondiale.
Fu vera gloria o c'era stato l'aiutino? Poco tempo dopo la finale numerosi giocatori tedeschi vennero colpiti da itterizia infettiva, dando luogo a più di un sospetto riguardo un utilizzo di sostanze dopanti per quella partita, nella quale in effetti avevano una marcia in più dei magiari.
Ancora oggi i sospetti sono tanti, ma in mancanza di prove concrete si resta nel campo delle illazioni. E dopo allora, l'Ungheria non è più stata così grande. 





venerdì 16 maggio 2014

Partite mondiali: 1950 - IL MARACANAZO E IL PIANTO BRASILIANO


Coppa del Mondo 1950 
Rio de Janeiro, 16 luglio, Brasile-Uruguay 1-2

La finale dei mondiali brasiliani del 1950 è ricordata come una delle più clamorose sorprese calcistiche mai avvenute in un torneo iridato.
A dire il vero la partita in questione non era una vera finale, bensì l'atto conclusivo di un girone a quattro squadre, nel quale la prima classificata si sarebbe aggiudicata la coppa Rimet. Per un gioco del destino, l'ultimo atto del girone fu proprio la sfida tra la prima e la seconda, dunque l'incontro diventò decisivo per il titolo.
Il Maracanà nella sua nuova versione per i mondiali che cominceranno il prossimo mese è molto ridotto rispetto alla versione di quei tempi. Allora il magnifico stadio di Rio, appena costruito proprio per ospitare le partite mondiali della squadra brasiliana, era un'immensa cattedrale di forma circolare e poteva ospitare più di 150.000 spettatori.
Per la partita decisiva l'entusiasmo dei brasiliani per una vittoria che consideravano già in tasca fece riempire il Maracanà persino oltre la sua già immane capienza, arrivando ad ospitare (si narra) più di 200.000 persone le quali non aspettavano che gli ultimi novanta minuti per sollevare la coppa Rimet insieme ai loro campioni.
Le speranze di vittoria erano ben riposte: il collettivo brasiliano, a quei tempi in maglia bianca (poi abbandonata per l'attuale casacca verde-oro, proprio in seguito a questa sconfitta), era una formidabile macchina da gol, che schierava campioni del calibro di Ademir (poi capocannoniere con 9 reti), Chico, Baltazar e Zizinho, e nelle due partite giocate nel girone finale aveva polverizzato con 13 reti complessive sia la Svezia (7-1) e poi la Spagna (6-1). La vittoria non poteva sfuggire, anche perchè per laurearsi campioni bastava anche un pareggio.
Ma di pareggio i brasiliani e il suo popolo festante non ne volevano sentir parlare: occorreva detronizzare anche gli uruguagi a suon di reti e giocate spettacolari, come si era fatto per tutto il torneo.
E l'Uruguay? A tutti sembrava la vittima sacrificale per un'intera festa di popolo e per far scatenare il carnevale per le strade brasiliane, ma l'undici celeste era una squadra di tutto rispetto, che poteva avvalersi di campioni del calibro di Varela, Ghiggia, e soprattutto Schiaffino. E il Brasile in difesa non era altrettanto valido come in attacco.
E infatti non fu facile per i campioni brasiliani. Il primo tempo la difesa uruguagia resistette agli sconclusionati attacchi dei giocatori in maglia bianca, senza disdegnare qualche contropiede pericoloso. Poi, all'inizio della ripresa, Friaca fece esplodere il Maracanà, segnando la rete del vantaggio brasiliano.


Sembrava tutto fatto, e i 200.000 spettatori delle tribune e i milioni sparsi per il Brasile aspettavano solo il momento in cui il capitano Augusto avrebbe alzato la coppa, come da copione.
Ma il copione non venne rispettato. A metà ripresa Ghiggia scappa sulla destra e poggia la palla per Schiaffino, il quale "fulmina" Barbosa con un destro di prima intenzione. Comincia la paura. Ma con questo pari si è ancora campioni.
Basterebbe amministrare il risultato per portare a casa la coppa. Ma quel Brasile non era adatto a gestire il punteggio. Doveva attaccare sempre, per segnare quanti più gol possibile.
Così, a 11 minuti dalla fine, si consumò il dramma: Ghiggia sfuggì sulla destra e, appena entrato in area, scarico un rasoterra sul primo palo. Barbosa si fece beffare proprio su quel palo, il suo, e così l'Uruguay passò addirittura in vantaggio, sorpassando in classifica i brasiliani.
Calò un silenzio surreale sul Maracanà, e così durò fino al fischio finale, che spostò la coppa dal Brasile all'Uruguay. La sconfitta portò tanti brasiliani al suicidio (!!) e fu causa di infarti e depressioni.
In Brasile non hanno mai dimenticato questa partita, nota come il Maracanazo. Ma per un'altro scherzo del destino, trentanove anni dopo, esattamente il 16 luglio 1989, per i brasiliani si presentò l'opportunità di rifarsi di quella sconfitta. Era la coppa America 1989, e Brasile e Uruguay si presentarono all'ultimo atto del girone finale (ancora!) a pari punti e con stessa differenza reti, e sempre al Maracanà. Era il Brasile di Romario e Bebeto, e l'Uruguay di Francescoli. 
Stavolta, davanti a 150.000 spettatori, i brasiliani dimostrarono di aver fatto tesoro della lezione del 1950 e andarono a vincere partita e coppa (1-0) grazie ad una rete di Romario all'inizio del secondo tempo. La storia toglie e la storia dà.