venerdì 16 dicembre 2011

VIVERE UN "CLASICO" (parte prima...)


Il Calcio.
Si, quello con la "C" maiuscola ora risiede in Spagna.
Un tempo eravamo noi ad importare il meglio di quanto si potesse trovare nel pianeta calcio del globo terrestre. Ora i soldi son finiti, o comunque scarseggiano, e così due squadre già sature di storia, una di Madrid e una di Barcellona, si giocano la supremazia dello sport maggiormente seguito nello stivale, con quelli dello stivale a guardare e ammirare.
Il "clàsico" di Spagna ha una storia lunga, una rivalità che va ben oltre le ragioni puramente sportive. La catalogna contro il potere regale, le spinte autonomiste di un'identità ben definita contro i centri del potere dello stato iberico. E il calcio che come fenomeno sociale "pop" ne riflette umori e comportamenti.
Il Calcio. Si potrebbero tralasciare le digressioni, ma sono utili a capire come si vive un "clasico" in Spagna. Sia che si giochi a Madrid, che a Barcelona. Non è solo Calcio, ma è alla fine solo calcio. La maiuscola e la minuscola non sono casuali.
Ammettiamo che sabato qualcuno di voi sia andato a Madrid, pronto ad aprire il portafogli per godersi quei novanta minuti calcistici di cui tutto il mondo parlava da giorni. Poteri dei media.

Ma anche poteri di una squadra (in maglia blaugrana) che da almeno tre anni dispensa una filosofia sportiva e risultati degni del "Grande Torino" e un'altra, in maglia bianca, con una storia debordante, un tir pieno di trofei, un allenatore mediaticamente al top e un presente incoraggiante.
Procurarsi un biglietto dall'Italia era un'impresa da titani: i biglietti erano finiti dopo pochi giorni dall’inizio della vendita, nonostante i tanti siti di vendite on-line (escluso realmadrid.com) che offrivano "entradas" a non meno di 300 euro per le curve, ultimo anello.
Arrivati a Madrid si scopre che la situazione non è così nera. Ti alzi presto (secondo gli orari madrileni), e verso le nove ti catapulti al Santiago Bernabeu perchè hai scoperto che nonostante i biglietti siano esauriti da giorni, la società ne mette in vendita poche migliaia in tutti i settori, per gli ultimi arrivati.
Nella biglietteria della Avenida de Concha Espina, "taquilla central", la fila è già piuttosto nutrita, per una partita alla quale tutti vorrebbero partecipare. Alle nove del mattino la colonna degli aspiranti fruitori del “clàsico” raggiunge già i cinquanta metri di lunghezza. C’è ancora da soffrire e ore da aspettare prima di scoprire se nella taquilla ci sarà posto anche per noi.

Per fortuna il tempo si ammazza facilmente facendo chiacchera con i vicini di fila. C’è chi è culèt, chi merengue sfegatato, ma ciò che colpisce è l’eterogeneità della gente: colombiani e paraguaiani che vivono a Madrid, gli immancabili giapponesi venuti in vacanza, magrebini e alcuni italiani, giusto per citare i nostri vicini di colonna.
Da giorni non si parla d’altro, e come per magia, saltano fuori le solite reporter di bell’aspetto che si insinuano tra la folla a impugnare il microfono per chiedere un pronostico sulla partita dell’anno. Tra una “manita” e un più sobrio 2-1 (segna sempre Cristiano, come lo chiamano qua, con il solo nome) rimbomba il tamburo di Josè, arzillo vecchietto dall’aria ottuagenaria e agghindato di tutto punto coi colori gialli e rossi (della Spagna, non della Catalogna) e il lungo cappellino con la scritta Ibiza. Un supporter dalla lunga barba bianca che ha l’aria di aver visto giocare anche Puskas e Di Stefano, vista l’età. Beato lui.

Tra un “Halà Madrid!” e un “Puta Barca” finalmente si arriva al dunque. I biglietti ci sono ancora, e la fila dietro di noi si ingrossa. Chissà se anche loro saranno altrettanto fortunati. Si ode un urlo davanti a noi. E’ solo un bimbo di dodici anni dai tratti indù che gioisce e abbraccia il padre, mentre entrambi ammirano il loro biglietto appena comprato come fosse acqua benedetta di Lourdes.
Il cielo è plumbeo e le nubi minacciano pioggia, la quale però decide di non tuffarsi sulla città prima delle sei di sera, quattro ore prima dell’inizio della partita. Le gocce sono minuscole e fastidiose ma nulla può fermare la folla che con netto anticipo già riempie le strade intorno al Bernabeu.
Il Santiago Bernabeu, che da queste parti ancora in tanti chiamano Chamartìn (che era il nome originario prima che venisse intitolato all’indimenticato presidente merengue) da fuori ricorda un pò il Meazza, con la sua aria maestosa incastonata tra alti palazzi di un quartiere residenziale e grattacieli sedi del terziario, i quali si sollevano sopra la fermata della metro Nuevos Ministerios. Le quattro grandi torri che ne formano i lati completano la somiglianza con l’impianto milanese, la quale però finisce qui.
La differenza sta in quello che oggi vorrebbero esportare anche in Italia ma è ancora lungi dall’essere attuato: la polivalenza di uno stadio da vivere sette giorni su sette. Tralasciando il museo madridista e la relativa tienda (il negozio ufficiale di merchandising della squadra) situata alla fine del giro tra i numerosi trofei, all’interno il Bernabeu pullula di negozi, bar e ristoranti, presi letteralmente d’assalto in giornate come queste, quando il tempo fuori è poco clemente e le ore che mancanno all’inizio della gara sono ancora tante.
Intanto fuori, anche se piove un pò si e un pò no, i cancelli non sono ancora aperti prima delle venti, così veniamo costantemente fermati da sedicenti individui che, come un disco dalla puntina rotta ripetono all’infinito la frase: “quieres entradas?”.

Qualcuno che non si è svegliato abbastanza presto per sorbirsi la fila della mattina si vede costretto a rivolgersi a loro pur di riuscire ad entrare allo stadio, con relativo bagno di sangue per il proprio portafogli.
Nel frattempo Josè è sempre fuori con il suo tamburo e la lunga barba bianca, e ogni tanto qualcuno azzarda una foto con il pittoresco tifoso, foto che poi varcherà la penisola iberica per finire su qualche desktop di pc sparso per il mondo. E nella Calle de Marcelino Sta Maria, via che si interseca come la gamba di una T con la via della biglietteria centrale, da più di un’ora impazzano cori e urla di chi tra poco si posizionerà nel “fundo Sur”, l’equivalente di una qualunque curva italiana zeppa di ultras.
Poi, finalmente si può entrare...

(continua...)

2 commenti:

  1. bel commento, mi ha permesso di immaginarmi un pò li in mezzo ai tifosi...bisognerà vederlo un clasico prima o poi!

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  2. Grazie! Te lo consiglio.... Il biglietto costa un pò, ma ne vale la pena! :)

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